Autonomia differenziata, cosa c’è nel ddl Calderoli e cosa cambia. Sindaci del Sud all’attacco
Il disegno di legge sull’autonomia differenziata approda in Aula al Senato, scatta la mobilitazione dei sindaci del Sud Italia. Cosa c’è nel ddl e i punti più contestati
Dopo sei mesi di dibattiti nella Commissione Affari Costituzionali, si avvia la fase iniziale della lettura del disegno di legge sull’Autonomia differenziata, presentato dal ministro per gli Affari regionali Roberto Calderoli, della Lega. Questo processo ha attraversato momenti di tensione tra le forze di maggioranza e l’opposizione.
Cos’è l’autonomia differenziata
La proposta è in discussione da anni, sempre avanzata dalla Lega; basti pensare che la storia della Lega Lombarda di Umberto Bossi del 1992 si basa proprio su questa proposta. Il partito propone una nuova iniziativa su un tema a lungo discusso, che ha le sue radici nella riforma del titolo V della Costituzione del 2001. Tale riforma ha conferito alle regioni la possibilità di richiedere allo Stato competenza esclusiva su 23 materie di politiche pubbliche.
L’autonomia differenziata si configura come il riconoscimento, da parte dello Stato, della facoltà di una regione a statuto ordinario di godere di autonomia legislativa su materie di competenza concorrente e, in tre specifici casi, su materie di competenza esclusiva dello Stato. Parallelamente alle competenze, le regioni possono anche trattenere il gettito fiscale, il quale non verrebbe più redistribuito a livello nazionale in base alle necessità collettive.
Le materie di legislazione concorrente abbracciano questioni quali i rapporti internazionali e con l’Unione europea, il commercio estero, la sicurezza e tutela del lavoro, l’istruzione, le professioni, la ricerca scientifica e tecnologica, la salute, l’alimentazione, lo sport, la protezione civile, la pianificazione territoriale, i porti e gli aeroporti civili, le reti di trasporto, la comunicazione, l’energia, la previdenza complementare, la finanza pubblica, il sistema tributario, la cultura e l’ambiente, nonché le istituzioni finanziarie e di credito a carattere regionale.
Il terzo comma dell’articolo 116 della Costituzione prevede la possibilità di concedere “forme e condizioni particolari di autonomia” alle regioni a statuto ordinario tramite legge dello Stato, su iniziativa della regione interessata. Tuttavia, finora questa disposizione non è stata applicata, soprattutto a causa delle notevoli disparità economiche e sociali tra le regioni, rendendo delicata e potenzialmente dannosa l’approvazione di leggi in tal senso.
Perchè il finanziamento dei livelli essenziali di prestazione agita maggioranza ed opposizione
Il ddl ha generato incertezze anche all’interno della stessa maggioranza, suscitando dubbi soprattutto a causa della marcata inclinazione nazionalista di Fratelli d’Italia, particolarmente radicata al Centro-Sud e meno presente al Nord. Anche economisti e sociologi hanno fortemente contestato la proposta. Gli studiosi mettono in discussione sia gli aspetti tecnici della proposta, sia i possibili impatti sociali estremamente negativi, in grado di accrescere le disuguaglianze a livello inter-regionale e di dividere il Paese in due.
Uno dei punti maggiormente contestati della proposta riguarda il finanziamento dei livelli essenziali di prestazione (Lep), i quali devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale e rappresentano una tutela per i “diritti civili e sociali” dei cittadini, come sancito dalla Costituzione. Secondo la proposta di legge, l’entità di questi finanziamenti dovrebbe essere definita prima delle richieste di autonomia, al fine di avere chiarezza sulle risorse necessarie per ciascuna regione richiedente.
Tuttavia, secondo il testo legislativo, che concede un anno di tempo al governo per decidere i Lep, le regioni potrebbero stipulare un’intesa anche senza l’emanazione del decreto del presidente del Consiglio, il quale dovrebbe stabilire l’entità dei Lep. Questo consentirebbe alle regioni di distribuire i finanziamenti in base alla spesa storica della regione nell’ambito specifico in cui richiede l’autonomia.
Questa disposizione è al centro delle contestazioni, tanto che in molti definiscono questo passaggio come una “secessione dei ricchi”. La critica principale è che tale meccanismo garantirebbe finanziamenti più consistenti alle regioni del Nord, che dispongono di maggiori risorse e hanno una spesa storica più elevata, e meno alle regioni del Sud, caratterizzate da risorse più limitate e, di conseguenza, una spesa storica inferiore. Questo approccio accentuerebbe ulteriormente le disuguaglianze tra le due aree del Paese.
Scuola, come cambia con l’autonomia differenziata
Inoltre, l’autonomia avrebbe un impatto sul sistema scolastico, prevedendo una separazione dei programmi scolastici attualmente gestiti a livello ministeriale, ma che potrebbero presto essere adattati a livello regionale. La proposta di legge attuale non specifica le modalità per attivare le richieste di autonomia. Il governo dovrebbe quindi elaborare le modalità di intesa tra lo Stato e le Regioni, ottenendo successivamente l’approvazione dalle stesse Regioni.
Infine, il Parlamento non avrebbe voce nella fase di approvazione, che sarebbe riservata esclusivamente al Consiglio dei Ministri. Quest’ultimo dovrebbe presentare alle Camere un disegno di legge per l’approvazione dell’intesa, nel quale deputati e senatori non avrebbero la possibilità di proporre modifiche.
Polemiche dei sindaci del Sud: “Sarebbe il colpo di grazia”
Con l’avvio dell’iter, numerosi sindaci del Sud Italia, in gran parte appartenenti al centrosinistra e al Movimento 5 Stelle, sono scesi ieri in piazza per protestare. Questi hanno aderito a un appello proveniente dai senatori dei loro territori, manifestando davanti alle prefetture in opposizione alla riforma.
Questi, rappresentati dall’associazione sindaci del Sud, esprimono la loro preoccupazione riguardo alla proposta di autonomia differenziata, sottolineando le difficoltà che ogni sindaco nella regione del Mezzogiorno affronta nel garantire i bisogni dei cittadini e delle future generazioni, data la complessità del contesto socio-economico e le gravi carenze amministrative. “Con il regionalismo spinto non si creerebbe quella maggiore efficienza che il ministro Roberto Calderoli sbandiera per giustificare la sua proposta, il cui unico scopo, in realtà, è ridare peso alla Lega – affermano – Si determinerebbe, invece, un peggioramento delle condizioni dei municipi del Sud”.
“Si calcola – spiegano i sindaci – che la proposta di revisione del Pnrr ottenuta dal ministro Raffaele Fitto colpirà soprattutto le regioni del Sud, che subiranno un taglio di 7,6 miliardi, la metà dei 15,9 che si prevede di ridurre. Per non parlare dell’eliminazione delle Zes e dei 4,4 miliardi distratti dal fondo perequativo infrastrutturale in una nazione che sul piano delle ferrovie e delle strade è letteralmente tagliata in due, l’alta velocità al Nord, la grande lentezza al Sud”.
Per i sindaci, la proposta di autonomia differenziata sarebbe così “il colpo di grazia”, esortando tutti i senatori eletti nei loro collegi a far sentire con forza la loro voce di dissenso in difesa della loro terra natale, di quella dei loro genitori e nonni, e di quella delle future generazioni. Nel caso in cui i senatori non si oppongano alla proposta, i sindaci avvertono che informeranno la popolazione su chi si è sottratto a questo “dovere morale”.
Più di 300 emendamenti al testo
L’approvazione finale del disegno di legge sull’autonomia differenziata potrebbe però slittare alla prossima settimana, a causa dell’attesa dei pareri della commissione Bilancio sugli emendamenti proposti, che ammontano a 336, insieme a sei ordini del giorno, di cui due di Fratelli d’Italia e nessuno da Lega e Forza Italia.
Fratelli d’Italia teme che il trasferimento di competenze come la sanità e l’istruzione possa penalizzare le regioni del sud in termini di finanziamenti disponibili. Pertanto, hanno proposto due emendamenti con l’obiettivo formale di “evitare disparità di trattamento tra Regioni”, cercando di ottenere un aumento dei fondi per coprire eventuali maggiori oneri legati all’attuazione dei Livelli Essenziali di Prestazione (Lep) anche per le Regioni che non hanno richiesto l’autonomia differenziata.
Le opposizioni promettono una battaglia comune, con 153 emendamenti presentati dal Pd, 121 dal M5s, 50 dal gruppo Misto, 8 da Italia Viva e uno dal gruppo delle Autonomie.